I borghi del Giro d'ItaliaL'Italia dei borghi

I borghi del Giro d’Italia – Tappa 4

Catania – Villafranca Tirrena
140 km

Con la quarta tappa si lascia la provincia di Catania per proseguire il viaggio nel messinese.

Ed è proprio qui che troviamo due autentici gioielli.

Il primo si colloca a circa 53 km dalla linea di partenza. Incastonato su un costone di pietra arenaria, nel cuore della valle Alcantara, Motta Camastra è uno dei borghi medievali più caratteristici del circondario, con vicoli stretti e un densissimo agglomerato di abitazioni. La sua antichità è evocata dal nome composto dalla radice Mot (hospitium) e Kamastart (nome di una divinità fenicia), che ne rivela uno scampolo di storia delle sue occupazioni, e dalla campana più grande della chiesa dell’Annunziata, di probabile origine normanna, che porta incisa sul bronzo la data di fusione 1161.

Un altro edificio sacro, la seicentesca chiesa Madre di San Michele Arcangelo, custodisce opere preziose da cui si narra una leggenda. All’interno sono presenti due statue cinquecentesche raffiguranti la Madonna, attribuite alla famiglia Gagini. Una di esse, detta Madonna di Montalto, possiede un pregevolissimo manto dai filamenti d’oro. Si racconta che Vincenzo Gagini scolpì tre statue della Madonna: di Montalto, della Catena e dell’Udienza, e le mise su tre carri tirati da buoi senza conducente. La Vergine della Catena si fermò a Castiglione di Sicilia, quella dell’Udienza a Roccella Valdemone e quella di Montalto, la più bella, a Motta Camastra, dapprima nella chiesa del convento dei Carmelitani, in seguito trasportata nella Matrice che possiede anche un magnifico coro ligneo settecentesco con scolpiti i dodici apostoli, opera dell’artista locale Sebastiano Grasso.

Questo borgo ha saputo conquistare anche il grande regista Francis Ford Coppola, che lo ha scelto come location per ricreare il paese di Corleone degli anni Cinquanta nella sua saga Il Padrino, tratta dal romanzo dell’italo-americano Mario Puzo. A Motta ha girato le scene in cui Michael incontra e chiede in sposa Apollonia nel casale di Piazza Fossia al Bar Vitelli e dove si celebra il loro matrimonio nella chiesa di San Nicolò.

La sua natura è ricca di sorprese. Spicca nel panorama Montagna Grande (1374 m.) che è la cima più alta della catena dei Peloritani. La vegetazione è folta e rigogliosa con boschi di quercia, roverella, leccio, pini, olmi e i famosi platani cantati da Pietro Bembo. Questo è il regno dell’aquila del Bonelli e di tanti altri rapaci.

Ma è il fiume Alcantara che attraversa il paese ad aver prodotto vere magie sul territorio comunale. Passeggiando lungo le sue sponde, in corrispondenza della frazione di San Cataldo e sotto il ponte Al Quatar, si trova la Grotta dei Cento Cavalli, una spettacolare caverna di scorrimento vulcanico, così chiamata per le sue dimensioni.

È in contrada Larderia-Sciara che il fiume dà il meglio di sé con le ben note Gole dell’Alcantara, che rappresentano il maggiore polo attrattivo turistico mondiale della zona. Lunga circa 400 metri, con una larghezza media di 5 si tratta di canyon di lava basaltica, che si sono formati per il susseguirsi di eruzioni dai crateri periferici dell’Etna negli ultimi 8.000 anni, e modellati ad arte dall’azione erosiva del corso d’acqua. La lava che si immergeva nelle acque si raffreddava velocemente tanto da produrre profonde fratture irregolari, le quali intersecandosi hanno formato strutture prismatiche dalle più diverse fogge: a “catasta di legna” (disposte orizzontalmente), ad “arpa” (leggermente arcuate), a “rosetta” (andamento radiale). Le formazioni più regolari sono verticali,

detti a “canna d’organo”, e possono spingersi fino a 30 m di altezza.

Un’ultima curiosità è data dal prodotto principale della comunità mottese. La Noce di Motta Camastra può contenere quantità di selenio cento volte maggiore rispetto a tutte le altri noci conosciute, come hanno provato le analisi di laboratorio del Dipartimento di Chimica Organica dell’Università di Messina. Ed è qui che si tiene l’unico evento siciliano a lei dedicato, la Festa della Noce, in calendario nel mese di ottobre. Ciò ha contribuito al paese di fregiarsi del titolo di Città della Noce. Secondo la credenza popolare in passato streghe e maghi si riunivano sotto i suoi alberi di noce.

Lasciamo leggende e magie di Motta Camastra e andiamo a cercarne ancora in un altro paese di pietra a 33 km di distanza, in una zona montuosa al confine tra la catena dei Peloritani ed i Nebrodi. Qui, troviamo Novara di Sicilia, che gode della posizione più privilegiata tra i paesi dell’entroterra peloritano; al centro della dorsale e volto a settentrione si raccorda sia con il versante tirrenico sia con quello ionico. Dal 2006 fa parte del circuito dei Borghi più belli d’Italia per la sua ricchezza di tradizioni, usi e costumi.

Allungato su un costone roccioso che sbuca dai boschi il paese è un reticolo stretto di viuzze e antiche casette addossate tra loro, poggia su pietra ed è fatto di pietre locali con l’arenaria grigio-rosata e il cipollino rosso e marmoreo: le strade in basole di pietra dette ciappe, pavimentate in acciottolato stretto tra due file longitudinali di arenaria; i portali del Duomo e delle altre chiese; le cornici dei balconi; le mensole e i supporti sottostanti (cagnò) degli antichi palazzi. Tutti datano tra il ’500 e il ’700. L’uso della pietra rivela l’arte dello scalpellino che ancora si esercita.

Tra storia e leggenda si racconta che in contrada Grottazzi vivessero i Ciclopi oltre duemila anni prima di Cristo. Restano i ruderi del castello saraceno su una rupe a strapiombo, dalla cima si gode la vallata e lo sguardo all’orizzonte va a scorgere le isole Eolie. Le tracce del monastero cistercense (sec. XII) di Vallebona, a 5 chilometri dalla città, testimonia il primo del genere in tutta la Sicilia, insieme ai ruderi resta la Regia Chiesa Abbaziale di Santa Maria La Noara, fondata col monastero da Ugone Cistercense.

 

Nella parte alta del paese sorge la chiesa di Sant’Ugo Abate (XVII secolo), in corso di restauro, che conserva le reliquie portate dal santo in un reliquario ligneo (1700), che si innalza sulla parete sinistra, tra i più pregiati di Sicilia per bellezza, numero (circa 130) e preziosità delle reliquie che contiene. Le più importanti sono: una spina della corona di Gesù, un pezzetto di legno della S. Croce, una pietra del S. Sepolcro, sangue e ossa di martiri (oltre a cranio, ossa e guanti di Sant’Ugo). In una nicchia erano nascoste tre cassettine, una in legno e due eburnee opera dell’artigianato islamico (XII sec.) che sono conosciute come le «Arche di Sant’Ugo», secondo la tradizione da lui usate per trasportare alcune reliquie nel viaggio verso Novara. E c’è anche la «Giara di Sant’Ugo»: un vaso arabo ispano (XI secolo) di pregevole fattura, da lui utilizzato come contenitore dell’acqua purificatrice per ottenere dal Signore conversioni, guarigioni e grazie.

Al centro del paese è situata la chiesa di San Nicolò (secolo XVII), recentemente restaurata, che si raggiunge salendo una monumentale gradinata in pietra. Entrando, verso sinistra, una porta in legno pregiato con sbalzi e fregi consente di accedere all’Oratorio della Confraternita della Concezione,(fondata nel 1613 e «Sciapica»). Nel seminterrato sotto l’oratorio si trova una cripta, nelle cui pareti sono prodotti avelli aperti in pietra «gaitte», dove venivano ospitate le salme mummificate dei notabili del paese. Nell’aula sepolcrale si venera la statua di Gesù Morto.

Le due vette maggiori sul territorio comunale sono Rocca Novara o Salvatesta (1340 m.), soprannominata «Il Cervino di Sicilia», e Rocca Leone (1222 m.). Da sempre le due alture novaresi sono avvolte dal mistero e vi si raccontano leggende popolari da cui nasce la credenza di un tesoro fatto di giare ricolme d’oro, nascoste negli anfratti della montagna. La leggenda popolare ha molte varianti, ma la più accreditata narra che solo una donna può recuperare l’oro, seguendo determinate regole: raccogliere legna da sette boschi diversi, tessere al telaio un canovaccio di lino, raccogliere grano da portare al mulino per produrre pane da cuocersi nel forno alimentato dalla legna dei sette boschi, avvolgerlo nel panno e andare alle pendici della Rocca Salvatesta per poi mangiarselo nel giro di ventiquattro ore. Al rintocco della mezzanotte un cavaliere aprirà la porta del tesoro.

L’altra leggenda riguarda Rocca Leone al tempo delle lotte fra Zeus e i Giganti. Il racconto narra di Tifone, il più pericoloso, che possedeva un leone addomesticato tanto fedele quanto un cane. Geloso della sua invincibilità Zeus decise di separarlo dal suo padrone e lo attaccò coi suoi fulmini. All’inizio il felino riuscì a evitare due saette che cadendo sulle colline circostanti formarono le due montagne di Colle Barca e Pizzo Russa, ma la terza lo colpì pietrificandolo nella Rocca Leone.

Anche qui un’ultima curosità riguarda la Festa e torneo del Maiorchino, un gioco risalente al primo trentennio del ’600 che ora sopravvive solo a Novara di Sicilia, dove gli abitanti vi si dedicano nei mesi invernali. Consiste nel far rotolare una forma di pecorino locale stagionato («a maiurchèa») del peso di 10-12 kg. lungo oltre un chilometro nel centro storico, lo stesso percorso da secoli, avvalendosi di un laccio («a lazzata») attorno alla sua circonferenza. Il giorno della finalissima è la domenica di Carnevale e vince la squadra (composta da tre giocatori) che taglia per prima il traguardo impiegando il minor numero di lanci. Dopo la consegna delle targhe alle squadre vincitrici la festa culmina con la degustazione dei prodotti tipici, tra cui pane e maiorchino.

Occorrono ancora circa 55 km. per arrivare al traguardo di Villafranca Tirrena e c’è ancora molto da vedere.

Adriana Maria Soldini

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