I borghi del Giro d’Italia – Tappa 10
Lanciano – Tortoreto
177 km
Si torna in pista per un itinerario ancora tutto in Abruzzo, che vanta il titolo di «Regione verde d’Europa», e ci si riporta in provincia di Chieti.
La nostra prima meta è a meno di 10 km dalla partenza di Lanciano e si chiama Marina di San Vito, frazione del borgo di San Vito Chietino.
San Vito Marina è una località del litorale chetino tra Ortona e la Punta del Cavalluccio, che ricorda l’atmosfera dei piccoli villaggi balneari e ha una spiaggia di ciottoli sorvrastata da maestose rupi di arenaria.
Affacciata sull’Adriatico si trova nel cuore della Costa dei Trabocchi, dal nome delle ardite macchine da pesca piantate su enormi palafitte, dove un tempo abitavano le famiglie dei pescatori. Sono tenute insieme da un complesso intreccio di pali e cavi e collegate alla terraferma da una passerella di legno. Secondo la leggenda sarebbero stati i fenici ad insegnare ai pescatori del luogo come realizzarli. Ora solo pochi sono sopravvissuti al degrado e nel periodo estivo si reinventano come ristoranti specializzati in cucina tradizionale, come brodetti e fritture.
Nel comune di San Vito Chietino ce ne sono sette e il più antico è il trabocco Turchino.
Poco a sud del paese si trovano Villa Italia e gli altri luoghi amati dal poeta e romanziere Gabriele D’Annunzio, che qui trascorse lunghi periodi, vi ambientò Il Trionfo della Morte e ricordò questi luoghi
con nostalgia e rimpianto in altri scritti e in molte lettere all’amata Barbara Leoni, la «bella romana» che fu la sua compagna e musa per cinque anni, e agli amici.
Il Vate cantò spesso la bellezza dei trabocchi, per lui simili a ragni:
Dall’estrema punta del promontorio destro, sopra un gruppo di scogli, si protendeva un trabocco, una strana macchina da pesca, tutta composta di tavole e di travi, simile a un ragno colossale.
(Trionfo della Morte, libro III, cap. II)
In altre pagine scrive ancora:
La grande macchina pescatoria composta di tronchi intrecciati, di assi e di gomene biancheggiava simile allo scheletro colossale di un anfibio antidiluviano. Pareva vivere di una vita propria avere un’aria e un’effigie di corpo animato. Il legno esposto per anni ed anni al sole, alla pioggia, alla raffica mostrava la sua fibra, si sfaldava si consumava, si faceva candido come una tibia o lucido come l’argento o grigiastro come la selce, acquistava un’impronta distinta come quella d’una persona su cui la vecchiaia e la sofferenza avessero compiuto la loro opera crudele.
Nel Quarto di sotto, in contrada Portelle, sulla nazionale Adriatica al Km 481 e a 2 km dall’abitato di Marina di San Vito verso Fossacesia, si trova l’Eremo dannunziano con la casa rustica che lo ospitò sul promontorio degli aranci e delle ginestre, da cui si apre un paesaggio suggestivo.
Dal 23 luglio al 22 settembre 1889 fu il rifugio isolato del Vate e di Barbara, procurato agli amanti da Francesco Paolo Michetti, che l’affittò per l’intera estate dal proprietario del trabocco Turchino, Luigi Di Cinzio. Allora il luogo era quasi inaccessibile, non c’era la statale ma solo un pianoro quasi a strapiombo sul mare. Dalla stazione di San Vito si poteva giungere alla casa attraverso una mulattiera, quella che D’Annunzio fece ricoprire di ginestre per la sua amante. E qui, di Barbara Leoni si conservano le spoglie.
A pochi chilometri dal termine tappa si trova Corropoli, un borgo collinare nella valle del torrente Fontanelle, affluente del Vibrata, con un panorama che spazia dall’Adriatico al Gran Sasso.
Il paese conserva numerose testimonianze artistico-culturali della sua storia ultramillenaria. Si possono ammirare: la piazza Piè di Corte, con un impianto che risale al 1830, dove si trovava l’antico castello; la torre campanaria (XV sec.), uno dei famosi quattro campanili «fratelli» della provincia di Teramo (Atri, Teramo, Campli), con la cuspide piramidale rivestita a squame da piastrelle azzurre di maiolica castellana, altre scodelle della stesso materiale sul fusto ottagonale e la cornice finale della parte quadrata; l’abbazia di Mejulano (o badia dei Celestini), costruita dai benedettini sul tempio pagano della Dea Flora; il monastero di S. Benedetto a Gabiano, nell’attuale Gabbiano, con annessa chiesa, fondato dai Benedettini Cassinei verso il XII secolo; il convento di S. Maria degli Angeli della Montagnola, convento dei Minori Osservanti in contrada Montagnola, inaugurato il 9 giugno 1694.
Un luogo amato da uomini della cultura, come Adolfo Borgognoni, letterato e amico del Carducci; oppure, il pittore Filippo Flaiani e lo storico Nimesio Ricci.
A metà strada tra Corropoli e Alba Adriatica, nella vicina località di Ripoli, su un terrazzo fluviale sulla sinistra del torrente Vibrata si trova il villaggio neolitico di Ripoli, che risale oltre a oltre 5600 anni fa, scoperto nel 1867 dal medico condotto Concezio Rosa.
Si tratta di uno dei siti più importanti d’Italia e ha dato il nome alla Cultura di Ripoli, una facies culturale del Neolitico dell’Italia centro-meridionale interna o adriatica, caratterizzata da produzione ceramica dipinta a fasce, di cui questo è il ritrovamento principale e meglio conosciuto (5630/80 per il gruppo di capanne più antiche del villaggio). Si conoscono del villaggio alcune decine di capanne e di strutture accessorie, oltre al fossato che lo circondava. Le capanne sono di forme e dimensioni molto varie, scavate nel terreno.
Nello scavo del 1913 si rinvennero alcune sepolture, fosse comuni scavate nella ghiaia contenenti da due a quattordici inumati per lo più in posizione rannicchiata, con ogni probabilità privi di corredo. In un caso lo scheletro di una donna era affiancato da quello di un cane, e in un altro la fossa utilizzata per il seppellimento era quella di una capanna preesistente.
Nell’ultima domenica di luglio si tiene a Corropoli un appuntamento di rilievo regionale che attira migliaia di persone, il Palio delle Botti, una gara con rievocazione storica della Pentecosta Celestiniana.
L’evento affonda le radici nel Ludo de le botti (Gioco delle Botti) – Disfida tra le contrade in onore di Isabella D’Aragona, un gioco popolare che si svolgeva ogni anno dal 1450 al 1800 durante la Festa di Pentecoste, nel prato antistante l’abbazia Celestiniana di S. Maria di Mejulano. Nel 1498 alla festa presero parte i feudatari dell’epoca, il Duca Andrea Matteo III e la Duchessa Isabella Piccolomini D’Aragona, presenza che celebrò l’insediamento dei monaci celestini nell’abbazia.
Non sappiamo nulla del ludo e delle sue regole, perché nel 1556 il Marchese di Montebello saccheggiò l’abbazia, distruggendo anche i documenti relativi della vita del Monastero e gli antichi privilegi goduti da S. Maria di Mejulano, come attestato da un testo del 1786 conservato nell’Archivio di Stato di Teramo. Secondo quanto rimanda la tradizione sappiamo che coinvolgeva le 10 contrade rurali del borgo.
Dal 1983, quando il gioco è stato ripristinato, le contrade del paese si organizzano in squadre, da cui si scelgono due coppie di «spingitori» per far rotolare una botte di 70 kg. lungo un percorso in salita. La sfida ha luogo nel centro storico, dalla Porta di Levante sino alla Chiesa di S. Giuseppe, e viene preceduta da un corteo storico con circa 250 figuranti che raggiunge piazza Piè di Corte, dove avviene la marchiatura delle Botti alla presenza dei Feudatari, del Magistrato delle Contrade e del Capitano di Fiera. L’Associazione Palio che l’organizza aderisce alla Federazione Nazionale Giochi Storici.
L’arrivo della decima tappa è a Tortoreto.
Adriana Maria Soldini
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