I borghi del Giro d’Italia 2021 – Tappa 9
Castel di Sangro – Campo Felice (Rocca di Cambio)
158 km
Il tappone appenninico con il numero 9 non solo è tutto abruzzese, ma anche tutto aquilano. E similmente al carattere abruzzese, forte e resiliente, ci troviamo a vivere una tappa vera e senza tregua con ben 70 km di salite, che iniziano subito dalla partenza di Castel di Sangro e delle quali ben quattro si fanno GPM di categorie 1, 2, 3, 2. Ma la gioia per chi segue il Giro Rosa sono quei 1.500 m di sterrato finale, i primi in programma, a una pendenza che passa dal 16% iniziale, restando sempre a doppia cifra: 12, 11, 14.
E noi dopo il primo GPM di Passo Godi, il più duro, ci fermiamo davanti allo spettacolo che ci offre la strada che sale a tornanti e porta a circa 1.000 m di altitudine al paese di Scanno. Noto centro di soggiorno estivo ed invernale della montagna abruzzese è annoverato tra i Borghi più belli d’Italia e vanta la Bandiera Arancione del TCI.
Il toponimo proviene da Scamnum (sgabello) in riferimento alla sua posizione sullo sperone roccioso, su cui poggiano i primi contrafforti dei monti dell’alta Valle del Sagittario. La sua origine è avvolta nel mistero. La prima menzione è nella Cronica Cassinese del 1067 sull’atto di donazione del Monastero di San Pietro in Lago dai Conti Valvensi a Montecassino, dove si nomina per confine «venit ad Scannum». Nei secoli il borgo passa da un feudatario all’altro: di Valva, Di Sangro, D’Aquino, D’Avalos, De Pascale, D’Afflitto e Caracciolo.
Dell’antica cinta muraria resta dei quattro accessi resta porta della Croce (XV sec.).
Dalla fine del 1600, grazie ad una fiorente pastorizia, Scanno conobbe benessere economico e una vitalità artistico-culturale rara per i piccoli centri di provincia, di cui furono protagonisti la piccola nobiltà e la media borghesia che furono committenti di importanti opere di costruzione e di ristrutturazione.
È tra il Settecento e l’Ottocento che il centro storico prende l’attuale fisionomia con gli scorci peculiari, l’intrico di stradine, le case a schiera, le scalinate, gli archi, palazzetti nobiliari e residenze di borghesi arricchitisi con l’attività armentizia. Si va ad operare una fusione tra architetture medievali e dell’età comunale, con edifici barocchi in pietra locale. C’è l‘ostentazione della potenza economica che va a supplire le umili origini. L’eccellenza la si trova nell’artigianato orafo, nell’arte del merletto a tombolo, e nei costumi femminili, che hanno sempre destato grande interesse negli studiosi.
Il costume tradizionale femminile nasce tra il Seicento e l’Ottocento ed è forse il più rappresentativo della comunità, tanto che ancora oggi è motivo di prestigio e di vanto da parte di chi lo indossa. È il più famoso d’Abruzzo e si compone di gonne nere o turchine, camicie rigonfie, giubbetti colorati chiusi da file di bottoni argentei e dal «cappellitto» che protegge la testa. In parallelo si afferma l’industria della lana e dell’arte della tintoria con la produzione dei «pannilana». Le donne di Scanno erano note in tutto il Regno di Napoli per le loro abilità nell’orditura e nella tessitura. La lavorazione della lana avveniva durante l’autunno e l’inverno, quando le donne restavano sole e gli uomini transumavano con le greggi nel Tavoliere delle Puglie. L’industria della lana fu fiorente fino intorno al 1870.
Il percorso ad anello che parte e arriva alla chiesa parrocchiale viene chiamato dagli scannesi «ciambella». In paese si contano circa venti archi e mostrano una colorazione nera, poiché sotto vi si accendevano dei grandi fuochi. Un elemento ricorrente nelle abitazioni antiche di Scanno è la cemmausa, un tipo di scala d’accesso esterna con gli scalini (schèle) in pietra, che termina in un ballatoio o pianerottolo, e coperta da una tettoia sostenuta da travi su cui poggiano delle assi di legno (scànzule), di solito in faggio, e da tegole (pinci).
Nella piazza principale, la chiesa parrocchiale di Santa Maria della Valle con il campanile di forme romaniche e cuspide cinquecentesca, e all’interno arredi barocchi in legno. Poco distante la chiesa di S. Maria delle Grazie mostra un’elegante decorazione a stucco del comasco Pietro Piazzoli, mentre la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli conserva sopra l’altare maggiore l’affresco della Madonna in trono con bambino (datato e firmato DE CIOLLIS A.D. 1418), che viene considerato uno degli esempi più alti di arte sacra del quattrocento abruzzese.
Nel susseguirsi di edifici lungo le strade degno di nota è il palazzo Tanturri de Horatio con motivi architettonici di ottima fattura, tra cui merita menzione la trifora dell’ultimo piano su via De Angelis e il piccolo mascherone all’angolo. Vicino al largo dell’Olmo il palazzo Di Rienzo viene dall’unione di due edifici avvenuta nel 1900 sull’area dell’antico palazzo feudale dei D’Afflitto e dei Caracciolo. Una trifora laterale ne sottolinea l’origine quattrocentesca. Desta curiosità la facciata dell’abitazione di fronte le cui aperture (il portoncino d’ingresso, il balcone centrale, i due oblò e la finestra) paiono riprodurre un volto umano in segno di scherno della potente famiglia Di Rienzo. In piazza San Rocco si affaccia palazzo Mosca, l’edificio residenziale più elegante.
Nel quartiere della Codacchiola si trova il museo della Lana che dal 1996 ha sede nel locale dell’ex mattatoio. Vi si trovano esposti documenti e testimonianze sulla vita quotidiana della gente di Scanno, sulla cultura pastorale contemporanea (1850-1930). Invece, all’interno della chiesa di San Giovanni Battista, forse risalente alla prima metà del Cinquecento è ospitato il museo delle Immagini Sacre che custodisce alcune statue di santi realizzate tra il Seicento il Novecento. Il numero tre è il museo del Lago nel Parco Nazionale. Circondato da monti aspri e selvaggi il lago di Scanno è il più grande bacino naturale d’Abruzzo e uno dei più ampi d’Italia. Si è formato per sbarramento naturale dalla frana del monte Rava che ostruì il corso del fiume Tasso tra l’era glaciale e il postglaciale.
Lungo la sponda sud si trova incassata nella roccia la piccola chiesa dell’Annunziata, meglio conosciuta come Madonnina del Lago che fu consacrata agli inizi del Settecento nel luogo in cui era esposta un’immagine della Madonna che compiva miracoli. All’interno una statua della Vergine in legno, copia fedele di quella antica rubata a fine anni Settanta, su cui sono state poste due preziose corone intagliate dai maestri orafi scannesi Armando e Natino Di Rienzo Il lago si estende per circa un chilometro quadrato e nel periodo di massima piena raggiunge 36 m. di profondità.
Dalla sommità della montagna adiacente assume la forma a cuore, grazie alla prospettiva di un punto panoramico. Ma è famoso anche per le leggende che si raccontano. In un romanzo del XV secolo si narra che abbia avuto origine dall’incantesimo di un mago, così come riferiscono antiche tradizioni del paese. Ancora oggi fa discutere per bizzarri fenomeni di cui è protagonista. Si dice che se ci si immerge con una bussola all’interno del lago, questa impazzisce per strane influenze magnetiche e pare che si creiino delle onde anomale. Accade spesso che il livello delle acque si alzi e si abbassi in breve anche di diversi metri.
Nel corso degli anni Scanno ha affascinato numerosi artisti italiani e stranieri ed è noto come «città dei fotografi» per essere stato oggetto di studio dei grandi fotografi del XX secolo: Hilde Lotz-Bauer, Henri Cartier-Bresson, Mario Giacomelli, Renzo Tortelli, Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna, Mario Cresci e altri. Hanno immortalato il paese e i suoi abitanti, come le anziane con il costume tradizionale o i numerosi artigiani.
Henri Cartier-Bresson ha visitato Scanno nei primi anni Cinquanta, i suoi scatti hanno fatto il giro del mondo e fanno parte della storia della fotografia mondiale. Nell’intervista concesse ad Arte, pochi mesi prima di morire, indicherà come «la foto» quella intitolata Mater Carmeli, che ha scattato appostato sulla scalinata in pietra, vicino all’ingresso della chiesa di San Rocco (XVII sec.), nota anche come chiesa del Carmine, poiché sede della confraternita e custode della statua della Madonna del Carmine. L’attenzione dell’italiano Mario Giacomelli, è stata attratta dalle donne e dai loro abiti, così come dai bambini. La sua fotografia Il bambino di Scanno («Scanno Boy», 1957) è diventata un’icona mondiale della cultura abruzzese ed è esposta al MoMA di New York. Qualche anno fa il settimanale il Venerdì di Repubblica ha trovato il bambino fattosi uomo, che vive al Nord ed è in pensione dalle forze armate.
Negli anni Venti Scanno è stata ritratta dalla Leica dell’artista tedesca Hilde Lotz-Bauer che ebbe come soggetti prediletti i volti delle donne e i panorami del borgo. Dal 1998 vi si tiene il Premio Internazionale di Fotografia Scanno dei Fotografi, che segue nel tempo il Premio Scanno della Fondazione Tanturri nato nel 1972, un premio letterario che ha avuto tra i vincitori personalità come Konrad Lorenz, Carlo Rubbia, Romano Prodi, Michelangelo Antonioni.
Scanno ha conquistato anche grandi artisti e scrittori del calibro di Maurits Cornelis Escher, Edward Lear e Gabriele D’Annunzio. In particolare l’incisore e grafico olandese Escher visitò l’Abruzzo dal 1928 al 1935, tornandoci nel 1958. Nell’aprile del 1928 arrivò a dorso di un mulo in paese e incise su legno l’opera Street in Scanno, una veduta di Vico Ciorla. Ancora vi abita la nipote della signora da lui ritratta da Escher e che per tutta la vita visse lì. Il suo progetto era di dedicare all’Abruzzo un volume illustrato, che mai si realizzerà ma di cui ci restano 28 incisioni tra le migliori del periodo paesaggista.
Ci rimettiamo sulla strada ma ci fermiamo prima del secondo GPM di Forca Caruso per visitare Castel di Ieri. Annoverato tra i Borghi autentici d’Italia è locato nel territorio collinare della valle Subequana, all’interno del Parco Naturale Regionale Sirente. È citato la prima volta nell’anno 1112 sulla bolla corografica di Papa Pasquale II ecclesiam Sancti Pii in Castello Ildegerii .
Della sua storia millenaria da Pagus dei Peligni Superequani (popolazione italica), passando al 1150 sotto il potere dei Normanni, resta come simbolo l’antica roccaforte dei Conti di Celano (XIII sec.) che domina il paese e la valle. Nata per avvistamento e difesa lungo la via Valeria, la torre è a pianta quadrata, ne resta un’altezza di circa 20 m e al suo interno una scala a chiocciola consente di raggiungere la sommità. Tutt’intorno si sviluppa il centro storico con la strada principale, via Roma, che sale come una spirale tra gli edifici arroccati sulla collina.
Il suggestivo centro storico di Castel di Ieri conserva la tipica struttura «a fuso» dei borghi medievali abruzzesi ed è sicuramente uno dei meglio conservati della provincia. Delle porte d’ingresso al borgo resta una porta civica che reca in epigrafe la data 1495. Sull’arco gotico spicca lo stemma della famiglia Colonna, che ne volle la costruzione, e un’iscrizione ricorda un magistrato aquilano del tempo.
Camminando tra le stradine strette, s’incontrano gli edifici storici più rilevanti. E sorprende la chiesa di Santa Croce (XV sec.), a navata unica e pavimento in cotto, l’unica rimasta tra quelle in origine all’interno del borgo. Musealizzata in situ nel 1998 con l’interno all’aperto per i crolli dovuti al sisma del 1915.
Un tipico esempio palazzetto gentilizio medievale si trova in via Simonetti, costruito nel XIV secolo dai principi Sciarra Colonna, e feudatari anche di Goriano Sicoli. È dotato di tre portali in pietra, di cui uno è una porta-bottega. Sopra l’ingresso restano tracce d’affresco di una Madonna benedicente con Bambino ed elementi architettonici. Nella parte alta della facciata, presenta una bifora con colonnina tortile.
Appena fuori dal centro antico, la chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta in Cielo del XIII secolo ma ristrutturata nel 1555. A tre navate con abside centrale custodisce tesori come il pregevole altare maggiore in marmo che ospita le spoglie di San Donato martire.
A 3 km dal paese, lungo la strada per Goriano Sicoli, la Claudia Nova, è sita la chiesa rurale della Madonna di Pietrabona (XIII sec.), che pare sia un ex voto alla Madonna per aver salvato il paese dalla peste. E una leggenda narra che la Madonna sarebbe apparsa su un masso (da qui «Pietrabona»), consentendo a un contadino di salvarsi dall’alluvione.
Nel 2012 ricerche di archivio hanno portato all’intitolazione di casa Morante, antica proprietà di Giuseppe Morante che a Castel di Ieri sposò Domenica Gentile, e da cui discendono personaggi illustri come il garibaldino Vincenzo Morante, nonno della scrittrice Elsa Morante.
Numerose sono le attestazioni archeologiche e di importante valore storico e scientifico, tra queste il parco archeologico e la necropoli Le Castagne.
Il parco archeologico è frutto dei rinvenimenti in località Piè di Franci, lungo la provinciale per Goriano Sicoli. Nel 1987, durante la costruzione di un capannone agricolo, vennero alla luce delle lastre modanate che hanno portato alla scoperta di due templi. Collocato su una sorgente vicino alla faglia della conca subequana il tempio B (IV sec. a.C) ha una cella centrale con zoccolo in pietra e un alzato in terra cruda, mentre il tempio italico sovrapposto in parte al precedente e rialzato di circa 2 m è datato II secolo a.C., e fu reso monumentale nel secolo successivo.
Il tempio A sorgeva su alto podio di 15 m sulla fronte e di 20 m sul lato lungo. Il basamento poligonale è rivestito da grandi lastre in pietra calcarea modanate e l’accesso era consentito da un’ampia gradinata sul prospetto frontale, in ottimo stato di conservazione. Si compone di un pronao e da una cella distinta in tre ambienti uguali, forse destinata a più divinità con l’ipotesi fatta di Eracle o Dioniso e Minerva. La pavimentazione è in mosaico e nella cella centrale è presente un’iscrizione. Si sono rinvenuti diversi reperti tra cui i frammenti di una grande statua di marmo bianco e un leone in pietra. La decorazione in terracotta che impreziosiva il luogo di culto dei Peligni Superequani è esposta al Museo archeologico nazionale di Chieti.
In anni più recenti si è rinvenuta una necropoli dell’VIII sec. a.C. con sepolture circolari e corredi funebri che rivelano un rango elevato dei defunti: fibule, bracciali e anfore, rimanda ad una committenza di rango elevato. Sul posto si sono trovate anche utensili preistorici in selce e ossidiana di oltre 28 secoli fa.
A circa 3 km a sud-ovest, del valico di Forca Caruso la necropoli Le Castagne si estende sulle alture circostanti il corrispondente insediamento fortificato di Colle Cipolla (comune di Castelvecchio Subequo).
La necropoli, chiamata la «Cerveteri d’Abruzzo» è posta a circa 900 m sopra il livello del mare ed è uno dei pochi esempi di necropoli «di altura» sottoposti a indagini archeologiche. Questa definizione si riferisce a concentrazioni di sepolture a tumulo localizzate a quote elevate, di prevalenza nel comparto aquilano orientale. Ma la prima a delineare i caratteri strutturali delle sepolture a tumulo/circolo di pietre in area abruzzese, la cui diffusione tra l’età del Bronzo finale e l’età arcaica è stata meglio precisata con le successive ricerche in altri nei siti. L’ orizzonte cronologico è tra l’VIII e il VI secolo a.C.
Il sito è composto da oltre 300 circoli di pietra molto ampi (dai 6 agli 8 m di diametro) posti a protezione delle tombe su appena 4 ha di terreno, presso l’antica sede della consolare Tiburtina Valeria che univa Roma alla costa adriatica. Le tombe a tumulo visibili sul terreno anche a occhio nudo erano state segnalate per la prima volta da Ezio Mattiocco che aveva documentato materiali sporadici, tra cui alcune fibule in bronzo, pugnali in ferro del tipo a stami e un corredo probabilmente infantile, composto da una tazza miniaturistica in impasto, cinque armille in bronzo a triplo avvolgimento, due anellini e una piccola pisside cilindrica decorata a sbalzo con motivo cruciforme sul fondo.
Caratterizza le emergenze venute alla luce (a eccezione delle tombe 13 e 14 nell’abitato) la presenza di una sola sepoltura e prive di testimonianze di seppellimenti posteriori. Per quanto riguarda il rituale funerario l’inumazione è supina e con prevalente orientamento a sudest. Per i corredi gli uomini sono connotati dalla presenza di armi, le donne da parures ornamentali. Il vasellame è presente in un numero ridotto di esemplari per sepoltura ed è attestato il «ripostiglio», la combinazione di un vaso contenitore di dimensioni medio-grandi con uno piccolo per attingere messa ai piedi dei defunti e protetta da un accumulo di scaglie litiche o in nicchie scavate nelle pareti delle fosse. Gli elementi meglio riconoscibili sono le fibule e per le armi va sottolineato l’uso prevalente del ferro.
Per quanto riguarda i materiali ceramici l’orizzonte tipologico si riferisce alle vicine aree fucense ed aquilana, ma spiccano umerosi caratteri locali. Si tratta di impasti grezzi o comunque scarsamente depurati.
Da via dell’Arella parte un sentiero che gira intorno al paese, oltre il rio, offrendo scenari unici del borgo.
È giunta l’ora di rimetteri in marcia e affrontare i circa 70 km che ci separano dalla linea bianca segnata sullo sterrato di Campo Felice, luogo di sciate papali.
Adriana Maria Soldini
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