I borghi del Giro d'ItaliaL'Italia dei borghi

I borghi del Giro d’Italia 2021 – Tappa 4

Piacenza – Sestola
186 km

È tutta emiliana e parte da Piacenza, la prima tappa appenninica e lo fa sotto la pioggia. L’insidioso tappone di montagna conta tre GPM, i primi due di categoria tre e il terzo è di seconda. D’altronde oggi è un giorno speciale, perché ricorre l’88° anniversario del primo Gran Premio della Montagna del Giro d’Italia conquistato da Alfredo Binda l’11 maggio 1933. Detto questo noi ci occuperemo dei traguardi volanti, perché i due borghi che li ospitano sono le nostre mete turistiche.

Il primo è posto a quasi 90 km dalla partenza, dopo aver attraversato le province piacentina e parmense ed esserci inoltrati in quella reggiana. Nella zona pedecollinare dell’Appennino reggiano arriviamo a Canossa, sulla sponda destra del torrente Enza, e subito reminescenze storiche ci fanno venire in mente l’espressione andare a Canossa con il significato di «fare atto di sottomissione umiliante, ritrattandosi e riconoscendo la supremazia dell’avversario», come riporta la Treccani.  In modo di dire che ha varcato i confini nazionali ed è in uso in trenta lingue, come inglese, francese, tedesco ed ebraico.

Il fatto risale al gennaio 1077 nel periodo della lotta per le investiture. Al castello di Canossa della contessa Matilde, che fece da intermediaria, si recò il cugino Enrico IV con indosso il saio e scalzo per chiedere perdono al papa. Inginocchiato davanti al castello l’imperatore del Sacro Romano Impero attese tre giorni e tre notti nella neve prima di essere ricevuto da Gregorio VII e di umiliarsi davanti a lui al fine di ricevere il bacio della pace, ottenendo la revoca della scomunica. Ogni anno, la prima domenica di settembre, qui si tiene la rievocazione storica del «perdono» con la sfilata in costume, dove spicca su tutti la Gran Contessa Matilde, impersonata da nomi famosi dello spettacolo, e il papa Gregorio VII che raggiunge l’imperatore Enrico IV penitente. Fanno seguito spettacoli di cavalli e di bandiere per le vie del paese.

Canossa è l’unica corte signorile italiana dell’XI-XII secolo che viene presentata (poema di Donizone) ostentandone ricchezza e magnificenza fino allo spreco ai tempi di Bonifacio, padre di Matilde. Ma le Terre Matildiche sono illuminate dal ricordo ancora vivo nella memoria collettiva e storica di questa donna carismatica, eminente personaggio politico e protagonista del Medioevo, un caso unico nell’Europa di allora. Fu dal 1071 che Matilde visse nella striscia d’Appennino tra il fiume Secchia e l’Enza, ma Canossa non fu la sua residenza preferita e ci abitò per periodi piuttosto brevi. Con la sua scomparsa l’imperatore s’impadronì dei suoi domini, ma ai Canossa restò la signoria sul paese e sulla rocca, che subirono numerose devastazioni durante i sanguinosi conflitti nati da congiure e alleanze tra i Visconti, i Farnese, gli Estensi.

Secondo alcuni storici l’antica rocca di Canossa venne eretta a metà del X secolo da Atto Adalberto di stirpe longobarda, mentre altri sostengono ancor prima nel corso del IX. Reperti rinvenuti in epoca recente testimoniano insediamenti precedenti, e rinforzano la teoria della presenza di culture più antiche sul colle. Si ipotizza che il castello fosse difeso da tre ordini di mura con le torri in grado di trasmettere e ricevere segnalazioni per un raggio di oltre 50 km, e con tre o quattro porte d’accesso.

All’interno del cerchio di mura c’era la chiesa di Sant’Apollonio, teatro dell’incontro tra l’imperatore e il papa.
Il fortilizio originario subì numerosi attacchi tali da abbattere l’impianto più antico, ma nel XVI secolo venne ricostruito e adattato a dimora signorile. Ciò che ora rimane è da datarsi al tardo medioevo.

Sul lato sud si scorge una porzione di abside sotto cui forse si si trovavano le prigioni di massima sicurezza. Ancora visibili sono le fondazioni della torre-pota che divideva la zona residenziale da quella di culto.Restano parti di fabbricato imputabili ai magazzini, al monastero, del palazzo edificato dai Ruggirei. A est resiste un tratto in elevazione della torre, sotto cui forse si accedeva al monastero, ma si entrava nel palazzo dal lato ovest, dove sono state individuate tracce di  un ponte levatoio.

In una struttura adiacente alle antiche mura si trova dal 1893 il Museo nazionale Naborre Campanini che conserva i reperti scoperti negli scavi effettuati nella seconda metà del XIX secolo. Una parte del materiale esposto viene dalla chiesa di Sant’Apollonio, in parte demolita da una frana nel XIV secolo. Sono presenti documentazioni sulle vicende del castello, frammenti architettonici ed epigrafici, capitelli romanici, materiali lapidei e laterizi, ceramiche e cimeli. Nel salone centrale spicca il fonte battesimale romanico che costituisce il reperto più rilevante della raccolta. Ottenuto da un monolite d’arenaria e riccamente decorato con elementi tipici del repertorio scultoreo medievale si presume appartenga all’antica badia di Sant’Apollonio.

A ’soli 2 km dl castello si trova Votigno di Canossa, che si dice sia uno dei borghi medioevali più belli e meglio conservati d’Italia.

La rocca di Rossena è la meglio conservata delle Terre Matildiche e nel tempo divenne dimora signorile e di villeggiatura estiva.

Sono conservate le più antiche strutture medievali, come l’alta torre centrale che, similmente alla torre di Rossenella di fronte, è articolata su più livelli e domina la valle dell’Enza, in prossimità della pianura Padana e delle maggiori cime dell’Appennino Tosco-Emiliano, una delle più belle vedute dell’intera regione.

Il progetto originale di Adalberto Atto, nella seconda metà del X secolo, prevedeva due torri identiche poste ai lati della strada che porta a Canossa. I primi rimaneggiamenti risalgono al XII secolo, con la costruzione anche di almeno tre scale segrete per consentire la fuga, che percorrono le mura del castello. La struttura è dotata di tre cinta murarie, di cui la terza cinquecentesca racchiude parco, chiesa di san Matteo (fine XII sec.) e canonica. All’interno s’incontra in primis la cisterna, per poi salire alcuni gradini per trovarsi davanti alla stanza della prigione. Nella parte superiore si trovano il grande terrazzo e il piano nobile. Dentro alla torre originaria, realizzata in ciottoli di fiume sbozzati, c’è un salone di rappresentanza con camino originale, decorato con stucchi policromi nel Settecento. Stessa epoca per gli affreschi dello studiolo accanto e la cappella del castello.

Posta su un cocuzzolo disposto a sud della rupe la Torre di Rossenella rivestì un ruolo determinante nel sistema fortificato, come guardiola di avvistamento dei castelli di Rossena e Canossa.  È un torrione a pianta quadrata già circondato da mura e fossati ed altri apprestamenti difensivi. Ha un piano terra non accessibile all’esterno, forse un magazzino, un piano intermedio e un piano alto, con aperture su tutti i lati che ne suggeriscono l’utilizzo abitativo.

Il castello di Rossena e la torre di Rossenella prendono il nome dal basalto, la roccia rossastra di origine vulcanica che caratterizza l’intera area su cui furono eretti.

A valle dell’abitato di Selvapiana, nel versante dell’Enza, si trova il Tempietto del Petrarca, costruito nel 1839 in memoria del poeta che nel 1341 vi soggiornò una prima volta, ospite di Azzo da Correggio, e dove terminò la stesura del suo poema Africa.

Perciò questo luogo [Selvapiana] è a me più caro d’ogni luogo

scrive il Petrarca nelle Epystole (II 16, 55). L’ideatore fu il barone Vincenzo Mistrali e il progetto fu affidato a Niccolò Bettoli, primo architetto della corte di Maria Luigia, e a Paolo Toschi.

L’iscrizione sulla facciata è stata dettata dal letterato ed epigrafista Pietro Giordani e dal Toschi.  L’interno è a pianta ottagonale con la volta affrescata ad encausto dal pittore parmense Francesco Scaramuzza che vi ha raffigurato Laura, la donna amata dal poeta. Al Petrarca è dedicata una statua in marmo bianco di Carrara che lo raffigura, opera dello scultore parmense Tommaso Bandini. Sui due muri ai lati della statua sono apposte cinque stele marmoree a destra e altrettante a sinistra che recano dieci sonetti del Canzoniere. Il tempietto si può raggiungere con il sentiero dedicato 664 C.A.I. RE. Un monumento a Francesco Petrarca è ubicato presso il parcheggio che dà accesso al sentiero, lungo la provinciale che da Cerezzola porta a Trinità.

Da segnalare l’antica città di Luceria, vicus abitato dal II-I sec. a.C. fino a circa il V sec. d.C. che rappresenta uno dei siti di maggiore interesse nella provincia di Reggio Emilia.

Concludiamo la visita con L’Opera di Dante scritta da Giosuè Carducci che si apre con queste parole:

Dalla rupe ove pochi ruderi a fior del suolo ricordano che fu Canossa, da quella bianca, brulla, erma rupe, cui nè ombre di boschi, nè canti di uccelli nè mormorii d’acqua cadenti rallegrano, chi volga attorno lo sguardo al monte e alla valle, scorge da un lato, vedetta dell’Appennino, la pietra di Bismantua, su cui Dante sali; dinanzi, nella gioconda Emilia, su la riva destra dell ’Enza, la solitudine di Selvapiana, onde sonarono le canzoni del Petrarca più belle.

Torniamo sul tragitto di gara e arriviamo a un passo dalla fine del percorso odierno per fermarci a Fanano, il più vasto comune dell’Alto Frignano con i suoi 90 km2 per la più parte compresi nel Parco Regionale dell’Alto Appennino Modenese.

Bandiera Arancione del Touring Club Italiano dal 2001 si trova ai piedi del massiccio del Monte Cimone (2165 m), la cima più alta dell’Appennino settentrionale e la vetta da cui si ha la più ampia visione del territorio italiano. Il toponimo è attestato dall’VIII secolo e viene fatto risalire a un deformazione di Fannianus, nome di persona, quanto come prediale di un Fannius, documentato su una stele funeraria di età romana.

Come nessun tempo mi appartiene,
eppure sempre indico il tempo,
così nessun tempo sicuroappartiene a te o viandante

È l’iscrizione datata 20 ottobre 1609 che si legge sulla torre dell’Orologio, un tempo a guardia della porta del castello, menzionato nel XIII secolo e con le mura «Baraccane» raso al suolo per ordine del duca di Ferrara Alfonso I nel 1532.

È annessa a palazzo Lardi dalla facciata cinquecentesca in stile toscano, ma che fu edificato nel 1340 come sede del Corpo di fanteria, ebbe funzioni di gendarmeria, e in seguito divenne residenza privata. Tra le sue mura ospitò nel 1433 Cosimo de’ Medici, in esilio da Firenze, e nel 1439 Papa Eugenio IV di ritorno dal Concilio di Ferrara. Il nome viene dal nobile ferrarese Pietro Lardi, commissario degli Estensi, che lo acquistò nel 1607.

Dietro al palazzo si trova I Borghi, una tipica borgata popolare di origine medioevale a cui si accede dal voltone, un sottopasso in pendio formato da due archi sulla destra della torre dell’Orologio.

Era l’antico sbocco della via per entrare al paese da sud. La piazzetta centrale è pavimentata con lastroni di arenaria, mentre gli edifici hanno particolari elementi costruttivi e tetti in «piagne» (lastre di pietra). È resa particolarmente suggestiva con il presepe vivente di Fanano.

La piazza d’armi del castello è l’attuale Piazza Ottonelli o del Poggiolo che per tradizione si ritiene fosse un luogo sacro, dove si trovava un fanum, recinto sacro o tempio d’origine latina. In piazza si elevano due torri di cui la più massiccia è detta Torre del Poggiolo, il cui nome indica la parte più alta del borgo antico. Costruita attorno al 1570 a pianta quadrata era l’antica torre dei Balestri, sopra cui la notte si accendevano i fuochi per orientare viandanti e pellegrini lungo la valle d’Ospitale verso Pistoia e Roma. L’altra torre nel XV secolo accolse la prima campana della comunità, poi trasferita nell’attuale torre dell’Orologio.

Fanano è anche cultura con le ville seicentesche e i suoi musei: il Museo all’aperto di Scultura su Pietra con più di 200 opere contemporanee sparse sul territorio, il Museo della Linea Gotica a Trignano, con reperti bellici provenienti da tutto il mondo e l’area tematica dedicata a Felice Pedroni, scopritore d’oro che fondò la cittadina di Fairbanks in Alaska, con cui Fanano è gemellata. Il paese ha però conservato una sorta di primato tra i centri del Frignano legati per numero e presenza nei secoli di comunità religiose, attestato ancora oggi dai tanti edifici di culto, tra cui spicca la pieve di San Silvestro Papa.

La chiesa è stata eretta probabilmente alla fine del XII secolo sopra i resti della chiesa abbaziale che Sant’Anselmo aveva fondato nel 749, ed è così denominata dopo la traslazione del corpo del Papa Silvestro a Nonantola. A tre navate era considerata la più bella e monumentale delle pievi tardo romaniche dell’Appennino, malgrado i rimaneggiamenti del 1612 che ne compromisero l’originale assetto romanico, che riprendeva il duomo di Modena, e ne cambiarono l’orientamento. La navata centrale resta più fedele all’aspetto originario con le dodici colonne in pietra battuta sormontate da capitelli di arenaria locale, probabile opera di scuola campionese: nel terzo a destra, uno dei più ricchi, si legge 1206 In conversione Sancti Pauli (25 gennaio 1206, forse la data di consacrazione); sul quarto, un pittore modenese del Trecento (si direbbe Barnaba da Modena) ha affrescato una Madonna con Bambino. Sul lato est lo splendido portale in arenaria (1502) mostra pregevoli motivi ornamentali degli stipiti, e in evidenza nella cornice superiore vi appaiono gli stemmi della comunità di Fanano.

Intorno a Fanano c’è una natura splendida da visitare, come la cascata del Doccione con un’altezza di 120 m, di cui 24 m di salto verticale e d’inverno l’acqua ghiacciata crea bellissimi giochi di colori;

la cascata della Rovinaccia, costituita da due grandi salti di circa venti metri l’uno che durante l’inverno ghiacciano spesso;

il lago Scaffaiolo, noto anche nell’antichità tanto da essere citato da Boccaccio;

il lago del Terzo, di origine glaciale e ricoperto per intero da uno strato di alga detta «Lingua d’acqua»;

il lago Patrignano, situato nello splendido altopiano di praterie che domina le valli di Ospitale e del Dardagna e che rappresenta un esempio unico di torbiera nel nord Italia;

la fonte solforosa ai lati della strada che collega l’oratorio di Santa Croce a Fanano, e che ora sgorga da una scultura del Simposio di Pietra;

il monte Libro Aperto, chiamato così dalla sua forma e dove solo qui nell’Appennino settentrionale fiorisce in tarda primavera alle sue pendici il rododendro selvatico.

Dal traguardo volante al traguardo di tappa mancano meno di 7 km, ma si deve affrontare l’ultimo GPM a Colle Passerino, un muro a 3 km dal termine corsa a Sestola, «perla dell’Appennino».

Adriana Maria Soldini

 

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