I borghi del Giro d’Italia 2021 – Tappa 10
L’Aquila – Foligno
139 km
Apre il cuore vedere la partenza da L’Aquila con il centro storico animato di gente, come doveva essere prima del terremoto del 6 aprile 2009. E si vorrebbe che per magia restasse sempre così, ma l’opera di ricostruzione procede lentissima rispetto alle promesse dei politici.
Dall’Abruzzo all’Umbria la tappa 10 è di 139 km per velocisti con un solo GPM di categoria 4, che ha la particolarità di 300 m di dislivello in 7 km.
Noi andiamo avanti fino al confine laziale, all’esordio della provincia di Rieti, e qui visitiamo il nostro primo borgo di giornata, Antrodoco.
Al centro d’Italia e delle valli reatine il paese è circondato dai monti Giano, Nuria ed Elefante, dominanti la valle del Velino. Attraversato dal fiume è a breve distanza dal Monte Terminillo, la vetta più alta dei Monti Reatini. È conosciuto per le Gole di Antrodoco e le Gole del Velino, considerate tra le più suggestive dell’Appennino, e per la ricchezza di acqua sulfurea che fu stazione termale dei grandi imperatori romani, come Vespasiano e i figli, Tito e Domiziano.
Intorno al 14 a.C. risulta essere «stazione di posta» (mansio) nelle carte di Augusto, e il geografo Strabone la chiama Vicus Interocrea nella seconda metà del I secolo a.C. Nell’Alto Medioevo fu insediata una curtis in possesso dei gestaldi di Rieti, per l’ organizzazione agraria del territorio, passata poi all’abbazia di Farfa che la rese centro specializzato per l’allevamento. In seguito la curtis divenne castrum durante le prime fasi dell’incastellamento, databili con ogni probabilità al X secolo. Importanti momenti storici sono l’assedio di Federico II nel 1231 e verso il 1800 la rivolta del popolo segnò la sconfitta dei Francesi. La battaglia di Antrodoco, combattuta nel corso dei moti rivoluzionari del 1820-1821, è considerata la prima battaglia del Risorgimento italiano. Ebbe luogo tra il 7 e il 10 marzo 1821 in un’area tra Rieti e le Gole di Antrodoco con la contrapposizione delle forze austriache comandate dal generale Frimont e degli insorti napoletani del generale Guglielmo Pepe. Dopo la vittoria il re di Napoli Ferdinando I nominò il generale Frimont «Principe di Antrodoco».
Lungo le Gole di Antrodoco, a ridosso della statale per l’Aquila si trova il santuario di Santa Maria delle Grotte edificato agli inizi del Seicento, dove nell’ottobre del 1601 la pastorella Bernardina Boccacci di 9 anni aveva scoperto nei pressi di una grotta l’immagine della Vergine con in braccio Gesù Bambino, scostando alcuni arbusti. La notizia fece molto clamore tanto che il vescovo di Rieti, monsignor Cesare Segni, diede ordine di erigere un altare sul luogo, celebrandovi la prima messa il 29 settembre del 1602 compresa dell’offerta di un’indulgenza di 40 giorni. All’inizio un eremita divenne custode del luogo, ma il grande afflusso dei fedeli e le grazie concesse dalla Vergine portarono all’erezione di un tempio, costruito tra il 1603 e il 1604 dall’architetto toscano Fausto Ruggeri da Montepulciano. Nella cripta sono sepolti i resti dei soldati francesi morti durante i moti contadini del 1799 nel Regno Borbonico
Procedendo sulla Via Salaria troviamo il suo gioiello medievale, la chiesa di Santa Maria Extra Moenia e accanto il battistero. È ricordata nel VI secolo in un passo dei dialoghi di San Gregorio Magno, dove riporta un miracolo accaduto al suo prete Rustico. Le origini della chiesa andrebbero correlate all’insediamento di una comunità cristiana, favorito dall’importanza del nodo stradale. L’edificio primitivo potrebbe attestarsi tra il IV-V secolo, come datano due capitelli di lesena con incisa la formula cristiana vivas in Deo, e parrebbe costruita sui resti di un tempio dedicato alla dea Diana. Nel tempo è stata oggetto di numerosi rimaneggiamenti, tra cui quelli del 1050-1051 che alterarono e occlusero le fasi più antiche, ma restano conservate molte parti della struttura romanica. La facciata è «a capanna semplice» e alla sua sinistra vi è addossato il campanile, che ha la caratteristica di avere in successione verso l’alto: monofore, bifore e trifore. Le aperture mostrano restauri e ristrutturazioni, e da alcune tracce di affresco (XIII sec.) sulla muratura di tamponamento si evince che le monofore del primo livello furono presto richiuse. All’interno conserva la struttura lignea a scale e ballatoi.
Nelle ristrutturazioni del 1950 sulla facciata della chiesa fu inserito un portale restaurato del XIII secolo di provenienza sconosciuta, che ha alcune parti originali tra cui l’architrave scolpito con tralci di vite, al centro del quale è raffigurato l’Agnus Dei. Invece il portale originale è stato destinato alla chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta in piazza del Popolo. All’interno la navata sinistra è divisa dalla centrale da un pilastro e tre colonne sormontate da cornici semplici. La navata destra è decorata sulla testata con affreschi del XIV secolo e si apre verso la centrale con due vasti arconi e una porticciola. L’abside è dotata di tre monofore e conserva nel catino, in tre registri sovrapposti, alcuni brandelli di affreschi appartenenti a varie epoche. Nel catino, compare Cristo benedicente in gloria (XV sec. ) in una mandorla sostenuta da angeli, mentre in due registri ci sono affreschi della seconda metà dell’XI secolo. Due teorie di santi che convergono verso il centro figurano tra le monofore. Posti più in basso sono rappresentati in sei clipei santi vescovi. Nel registro inferiore il toro ed i pesci appartengono a un’epoca imprecisata. Numerosi pezzi scultorei sono murati in varie parti dell’edificio sacro: nel gradino di accesso al campanile, come architrave e come soglia della porticina che porta alla navata di sinistra, e anche nel parato murario esterno dell’abside. Il battistero è un unicum nella zona. Presenta pianta e collocazione di tradizione lombarda e le pareti sono quasi interamente occupate da affreschi realizzati tra il Quattrocento e Cinquecento che paiono potersi leggere come le pagine di un libro. La chiesa è monumento nazionale.
L’urbanistica di Antrodoco mostra le tracce di un rinnovamento in età angioina (XIII-XIV sec.). L’impianto è regolare e si articolava sulla piazza principale dove confluivano i due assi viari principali che si raccordavano alla Salaria per mezzo della via del Ponte e la porta di Sant’Anna (XIII-XIV sec.), all’interno della quale è murata un’epigrafe che attesta i lavori ordinati da Traiano nel 110-111 per contenere la minaccia dellacfrana di un monte alla Salaria. Superato il fiume, si divideva in due rami, uno verso Ascoli, l’altro verso l’Aquila.
Ristrutturato dopo il terremoto del 1703 il centro storico si articola attorno a piazza del Popolo, dominata dal duomo di Santa Maria Assunta con la navata centrale a forma di barca rovesciata, che custodisce un importante altare ligneo con due angeli e, sotto l’altare principale, il vestito con ricami in filo d’oro e argento del corpo imbalsamato di San Benedetto, che si presume fosse un soldato francese. Degni di nota sono il monastero di S. Chiara, la chiesa settecentesca delle Anime Sante e il convento di Sant’Agostino, fondato prima del 1358 vicino a porta Sant’Anna.
Al piano terra di palazzo Blasetti, sede del Comune di Antrodoco, è ospitato dal 1985 il Museo storico militare nato per la passione del cavalier Emanuele Tonino Galgani e dei suoi Alpini. Su una superficie espositiva di circa 300 m2 espone in quattro sale oltre 300 copricapi, cimeli delle guerre mondiali e coloniali tra cui armi, divise, resti di bombe, e il perfetto allestimento di un tipico campo base. Il nucleo principale è formato da materiale in dotazione alle truppe da montagna.
Percorrendo per 5 km una strada panoramica, che attraversa castagneti, faggeti, tratti di bosco ceduo e querceti, lungo le pendici del monte Nuria (1.880 m ), si giunge alla frazione di Rocca di Fondi. È un centro storico che rappresenta un esempio di edificazione rurale del centro Italia.
Ha la caratteristica forma a fuso, con vie strettissime, ripide e scavate quasi nella roccia, e in cima la piazza principale con la chiesa della Madonna dell’Assunta. Le case a due piani sono edificate con materiali locali e si coniugano con la natura circostante: al piano inferiore, in parte interrato, per il ricovero del bestiame; il superiore, a livello stradale, a destinazione abitativa.
La tradizione gastronomica di Antrodoco è varia e vanta gustosa specialità. Celebrato dalla Festa d’Autunno del mese di ottobre il marrone antrodocano IGP si raccoglie nei boschi circostanti ed è alla base di molte ricette locali; per esempio, con la farina si prepara la polenta.
Gli stracci antrodocani sono crespelle fatte di uova, acqua e farina, sottilissime ed elastiche, che vengono farcite con sugo di carne, salsa di pomodoro e formaggi. La pizza messa è un dolce pasquale con canditi.
Ci rimettiamo sul percorso ufficiale ed entriamo in Umbria, passiamo la provincia di Terni per poi entrare in quella di Perugia fino a raggiungere l’incantevole Campello sul Clitunno.
A 10 km da Spoleto è noto per il suo nucleo storico racchiuso da possenti mura e per l’area legata alle sue fonti. Abitato da Etruschi e Romani, dopo la caduta dell’impero intreccia la sua storia con quella di Spoleto. Nel XIV secolo si diede statuti di libero Comune, 35 pergamene in cui si definivano le regole, ma ben presto la Chiesa e il Ducato di Spoleto vi allungarono sopra il loro dominio. Ed è solo nel 1930 che ha riacquistato l’autonomia una volta per tutte.
Il Comune si divide in due nuclei: Campello Alto e Campello Basso.
Campello Alto è il borgo fortificato che si è sviluppato attorno al fortilizio e conserva gran parte la struttura trecentesca. Mostra intatte le sue mura e un’unica porta di accesso, dove si trova la chiesa di San Donato con un pregevole altare barocco in legno. E poi il palazzo comunale e, nelle vicinanze, il complesso monastico dei Barnabiti, al cui interno si conserva una Madonna dello Spagna e un affresco di influenza giottesca, Crocefissione e Santi (XV sec.).
Il castello di Campello Alto è il più antico insediamento abitato del territorio e venne fondato nel X sec. da Rovero di Champeaux, barone di Borgogna e cavaliere, venuto da Reims al seguito del Duca Guido di Spoleto che gli concesse il feudo Gualdi Ranieri e otto villaggi. I discendenti di Rovero divennero signori della Spina e della Torre di Lanfranco e in seguito il nome mutò in Campello. Nel 1326 Argento Campello, nemico della chiesa, fu messo al bando e qualche decennio dopo il signore di Spoleto, Pianciani, con mercenari eugubini devastò il castello, difeso con grande coraggio dalle donne, e imprigionò il conte Paolo Campello. Ma dopo il successivo arresto del Pianciani, i massari impedirono a Campello di rientrare in possesso del castello, che riuscì a riconquistare solo nel 1390.
Il castello ha forma ellittica e s’innalza a 514 m sulla pianura spoletina sopra un colle ricoperto da uliveti, elci e resinose, in posizione isolata e in un contesto di incomparabile bellezza. Il perimetro misura circa 500 m e le mura, un tempo dotate di merli guelfi, erano difese da fossati. Rimangono resti di cannoniere, beccatelli in pietra, archi e finestre delle case che si addossavano alle mura.
Sotto al colle si trova tra boschi ed ulivi la chiesa parrocchiale di Santa Maria (XIII e il XIV sec.). Venne restaurata dopo il 1347, e oggi presenta una facciata a due spioventi con campanile a pianta quadrata. Custodisce tele di pregio del XVII-XVIII sec. e una nicchia affrescata del XV secolo.
Nelle vicinanze è situato il palazzo dei conti Campello ( XIV sec.) con un delizioso teatrino privato del XIX secolo
A Campello Basso, che corrisponde alla frazione capoluogo La Bianca, si trova la chiesa della Madonna della Bianca (XVI secolo) con portale in pietra e all’interno due affreschi dello Spagna.
Ubicato al piano terra del Palazzo Casagrande il Museo della civiltà Contadina “I cassetti della memoria” è una raccolta etnografica che conserva e documenta usi e costumi del territorio e dell’Umbria centrale. Iniziata nel 1997 la collezione conta oltre mille reperti collocati all’interno di cicli tematici nelle sale: il vecchio mulino ad acqua del XVII secolo, il grande frantoio del XVIII secolo, la stanza del telaio e della tessitura, la cucina contadina, la stanza dei carri, degli aratri, degli attrezzi, la cantina, la caciera, il barbiere, ecc. All’allestimento museale si associa la pubblicazione I Cassetti della Memoria, raccolta di testi e fotografia sulle tradizioni popolari del territorio.
Alla fine del 2009 è stato istituito l’Ecomuseo di Campello sul Clitunno che si proprone di promuovere la ricerca, la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio storico, culturale, ambientale e tradizionale del territorio comunale.
In un ambiente incantevole presso località Le Vene troviamo le Fonti del Clitunno, un insieme di sorgenti che formano un laghetto, dal quale inizia il suo percorso il fiume Clitunno (16 km). Celebri già in epoca romana costituiscono l’attrazione tra le più rinomate della Valle Umbra meridionale. All’interno di un SIC (Sito di Interesse Comunitario) per le peculiarità floro-faunistiche, formano un bacino lacustre di circa 400 m di diametro per una superficie di quasi 10.000 m2 con molteplici polle d’acqua e un’area a parco pubblico. L’attuale strutturazione del Parco è merito di Paolo Campello della Spina che, tra il 1860 e il 1865, ha realizzato il laghetto e l’impianto della vegetazione, il giardino d’acqua ricoperto in maggior parte da pioppi e salici.Nell’Ottocento parole ispirate sono state scritte da George Byron durante la sua visita. E la poesia Ode alle Fonti del Clitumno è stata dedicata da Giosuè Carducci, che nel 1876 arrivò a Spoleto come commissario di esami al liceo classico. La sua visita è ricordata da una dello scultore torinese Leonardo Bistolfi con uno scritto di Ugo Ojetti.
Poco distante, in frazione Pissignano, abbiamo un sito Unesco riconosciuto il 29 luglio 2011. Si tratta del Tempietto del Clitunno, parte del sito seriale I Longobardi in Italia: i luoghi del potere (568-774 d.C.), che è dedicato a San Salvatore nell’area forse occupata in epoca romana da sacelli consacrati alla divinità fluviale (Clitumnus), da identificarsi con Giove (Iuppiter).
L’edificio ha l’aspetto di un piccolo tempio corinzio tetrastilo in antis, su alto podio, ottenuto con almeno due fasi costruttive ravvicinate. L’architrave riporta, in caratteri maiuscoli romani quadrati l’iscrizione invocante Dio, che doveva integrare quella dei due portici laterali. La gran parte degli ornamenti scolpiti è prodotto tanto abile da ingannare il Palladio che si trattasse di un tempio romano. All’interno la celletta è decorata da dipinti murali di pregio, ritenuti fra i più antichi dell’Umbria, che vanno a inquadrare l’edicoletta marmorea dell’abside, risultante dal montaggio di elementi romani di reimpiego e di decorazioni fatte appositamente. Studi più recenti lo fanno risalire all’età longobarda tra gli inizi del VII e il pieno VIII secolo.
Il Borgo San Benedetto, ovvero il castello di Pissignano (XI-XII secolo) deve il toponimo da Piscinae Jani scritto in una lettera di Federico Barbarossa. Il suo nucleo abitato, sviluppatosi nei pressi della chiesa benedettina, si dotò di una cinta muraria nel XII secolo. Di forma triangolare è un castello di pendio con il vertice a monte e le torri sugli angoli dei lati spioventi in posizione intermedia. La torre di vertice è molto alta, ma la maggior difesa era concentrata nella torre pentagonale, impiegata già in antico come campanile e abside della chiesa di San Benedetto. Nel punto più alto dell’abitato su terrazze digradanti ci sono i resti del palazzetto della Comunità, che custodisce un affresco Madonna con Bambino (1545).
Posto in una delle zone più incontaminate e suggestive dell’Umbria il borgo di Acera (972 m slm) venne fondato nel 1296 come castrum dal Comune di Spoleto. L’abitato odierno conserva molte tracce della struttura medievale con torri e tratti di mura. La chiesa di San Biagio (XV sec.) comprende alcuni tratti di mura romaniche e affreschi votivi. Sulla strada di accesso principale s’incontra un interessante complesso del XVIII secolo della famiglia Prioreschi, ottenuto inglobando due torri: una trecentesca di pianta rettangolare, e una cinquecentesca di pianta pentagonale. Dal 2008 nei locali ex scuola dell’Acera e dell’ex chiesa di Santa Maria Maggiore vi è ospitato il centro comunale di documentazione sulla transumanza che si struttura in sala multimediale e centro di documentazione etnografico sull’attività della pastorizia transumante. È stato possibile costituirlo con fondi della Regione previsti nel Documento di Programmazione per sviluppo della filiera turismo-ambiente-cultura.
Con i suoi 1.074 m di altitudine Pettino è la frazione più alta del territorio comunale, e poggia lungo la linea montuosa di separazione tra la Valle Umbra meridionale e la Valle del Fiume Menotre. Il territorio è zona SIC per valore naturalistico, varietà della fauna e flora caratterizzata dalla presenza di una grande lecceta mista con caducifoglie tra le più belle dell’Umbria. D’altronde le montagne intorno a Pettino sono le più grandiose e affascinanti della valle umbra sud: Serano (1426 m), Carpegna (1334 m) e Vergozze (1331 m).
Ma c’è un’altra area SIC lungo i versanti dei monti Felcito, Meggiano e Pianciano. All’interno la stazione di Bozzo del Fosso di Camposolo è considerata la più importante dell’Italia centrale con una specie relitta dell’Era Terziaria che prima delle glaciazioni era diffusa nel piano montano delle catene mediterranee. Il sempreverde si ritrova in Umbria associato in particolare ai boschi di carpino nero. Il Gatto selvatico europeo è tra le specie faunistiche più rilevanti.
A Lenano la chiesa di San Lorenzo, originatasi da una cappella rurale d’epoca romanica, custodisce un ciclo di splendidi affreschi votivi di artisti spoletini. Sulla parete di fondo le Storie di San Lorenzo e la Crocefissione di Cristo risalgono al XIV secolo e sono stati dipinti sopra ad affreschi del X-XI secolo.
Mancano quasi 18 km al traguardo di Foligno. Nel Giro d’Italia dedicato ai 700 anni dalla morte di Dante Alighieri occorre sottolineare che proprio qui, nel 1472, è stata data alle stampe la prima edizione della Divina Commedia in 600 preziosissime copie.
Domani il Giro e i ciclisti riposano.
Adriana Maria Soldini
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