I borghi del Giro d’Italia – Tappa 16
Udine – San Daniele del Friuli
229 km
Inizia l’ultima settimana del Giro, la più impegnativa, quella in cui tutto può cambiare.
Da Udine i corridori devono affrontare la sedicesima tappa, molto lunga e con ben 6 GPM, uno di seconda categoria e gli altri di terza.
Oggi, noi facciamo visita a due paesi molto piccoli che hanno però molto da dire.
La nostra prima tappa nella tappa è dopo una sessantina di chilometri, a Pulfero. Qui, abbiamo il nome doppio, perché oltre all’italiano c’è lo sloveno Podbonesec.
Ha meno di 900 abitanti, ma con 36 frazioni sparse su un territorio di circa 48 km2. Si trova sulle sponde del fiume Natisone dalle acque smeraldo, tra i primi rilievi delle Prealpi Giulie, incorniciato dal monte Matajur (1641 m.), il più alto della zona, e dal Monte Mia (1237 m.), sulla cui cima passa il confine di Stato con la Slovenia.
Il territorio comunale faceva parte un tempo della Gastaldia d’Antro, un’unità amministrativa prima dipendente dal re longobardo, poi dal patriarca di Aquileia e infine dal doge di Venezia. A Biacis e a Tarcetta sono ancora visibili le lastre di pietra, attorno a cui si riunivano i decani e i giudici della Banca d’Antro, che amministravano cosa pubblica e giustizia.
A Biacis ci sono anche i resti del castello di Ahrensperg (XII secolo), che sono costituiti da alcune parti delle mura, la base di una torre circolare e di una quadrangolare con feritoie, in origine alta alta 14 m.
Il fortilizio si collega con la grotta di San Giovanni d’Antro, con cui andava a comporre un unicum difensivo.
Per raggiungerla occorre salire oltre cento gradini. Il percorso sotterraneo attrezzato dà un’idea delle meraviglie scoperte dagli speleologi nei 5 km. dentro la montagna. La frequentazione della grotta iniziò durante la preistoria, e in età romana divenne postazione militare, faceva parte della linea di difesa della Decima Regio, Venetia et Histria; probabile anche una destinazione sacra dedicata a divinità silvane. Bizantini e Longobardi vi hanno lasciato due luoghi di culto: la cappella della Sacrata Vergine Antiqua, di cui resta l’arco con la ghiera in cotto e la volta a crociera, e la cappella di san Giovanni Battista, trasformata nel 1477 in stile tardogotico da Andrej di Škofja Loka, con mensole figurate da cui partono i costoloni che si intrecciano nella volta. Da segnalare nella sala d’ingresso l’altare ligneo (XVII secolo) di Bartolomeo Ortari di Caporetto e alcuni lacerti di affreschi, tra cui una Veronica e simboli di ordini cavallereschi. Inoltre, conserva statue cinquecentesche attribuite alla bottega di Giovanni Martini.
Una leggenda narra che la regina longobarda Teodolinda (è anche una leggenda della regina Vida) dopo essersi rifugiata nella grotta, gettò l’ultimo sacco di grano sui soldati unni per convincere dell’abbondanza di provviste Attila, che pose fine all’assedio. Così la regina e i suoi sudditi poterono fare ritorno nei paesi delle valli del Natisone, dove vissero in pace e serenità. In realtà studi hanno rivelato che il mito deriva da storie simili, tanto che dalla leggenda è nata una filastrocca cantata ancora oggi ai bambini delle valli del Natisone.
Qui, al confine con la Slovenia il contesto paesaggistico è di grande bellezza e di notevole interesse. Il punto di partenza per le escursioni sul monte Mia è il Centro Visite di Stupizza, sede del Villaggio degli orsi, un centro didattico-divulgativo dell’Università di Udine, che si propone di far conoscere e conservare le ricchezze della biodiversità locale, con particolare riguardo verso la rara specie d’orso che popola l’area compresa tra l’alto Torre e l’alto Natisone, di cui è presente la ricostruzione di una tana.
È possibile scegliere tra una serie di escursioni e passeggiate lungo sentieri di facile percorribilità, per esempio a inizio percorso dello Stupizza-Pradolino (7 km.), di grande interesse naturalistico e botanico, è possibile visitare il villaggio abbandonato di Predrobac, abitato fino a inizi Novecento dagli abitanti della valle insieme al loro bestiame nei mesi più caldi.
A Pulfero sopravvivono antiche tradizioni degne di nota, come quelle del carnevale. Nella frazione di Montefosca ha come protagonisti i Blumari che con abito bianco, campanacci e altri copricapi, corrono lungo i confini del paese, tante volte quanti sono loro (un numero tra 5 e 15), festeggiando il passaggio tra inverno e primavera, oltre a quello tra l’età giovanile e l’adulta. Ma prima della corsa si assiste all’antico rito della vestizione con l’assistenza dei papà e dei nonni, che legano i campanacci sulle spalle e i copricapi sulla testa in modo che non cadano nei salti e durante la corsa. Oggi corrono tutti, anche i bambini e gli adulti, a causa dello spopolamento della zona. Qui, è stato allestito il Museo dei Blumari.
A Rodda ci sono i Pustje, con abiti e cappelli multicolori, campanacci e particolari pinze in legno, che accompagnano di casa in casa il Diavolo (Zluodi), a malapena trattenuto dall’Angelo (Anjulac), creando allegria e confusione. Invece a Mersino, accanto ai Pustje, i figuranti tutti agghindati accompagnano un gallo (petelìn) e una gallina (kakuoša) giganteschi, impegnati in assalti maliziosi.
Tutto questo richiama il famoso carnevale di Rocca Grimalda nell’Alto Monferrato con la lachera, danza popolare originaria del XIII secolo. Così come i due carnevali della frazione Cegni di Santa Margherita di Staffora nell’Oltrepò Pavese con il ballo della Povera Donna, accompagnato dalla musica dal vivo delle Quattro Province.
Dopo altrettanti chilometri giungiamo a Lusevera (Bardo, in sloveno), un borgo nell’alto bacino del torrente Torre con circa 600 abitanti sparsi su oltre 53 km2 di territorio comunale che per quanto ha da offrire non lascia il visitatore deluso.
Una tradizione locale molto antica vuole il nome dato da Giulio Cesare, che soggiornò in frazione Cesariis, tramite l’espressione Lux vera con cui battezzò alcune case del villaggio illuminate dal sole.
Nella piazza principale la chiesa di San Giorgio Martire è stata ricostruita dopo il terremoto del 1976 dall’arch. Gianni Avon, che ha voluto recuperare in essa alcuni elementi lapidei ad arco del vecchio campanile inseriti nella struttura muraria, due antichi capitelli del XIII secolo a lato del grande balcone verso il Gran Monte, l’acquasantiera del 1738. Agli angoli della chiesa sono stati realizzati due altarini con le pale di San Giorgio (1776, opera di Colussi restaurata di recente) e quella della Madonna col bambino (XIX sec.). È ancora presente il prezioso organo (1743) del costruttore barocco della Dalmazia Pietro Nacchini (vero nome Petar Nakić, 1694-1796), il più celebre fabbricatore d’organi della Serenissima.
Seguendo un’antica usanza sono stati piantati accanto alla chiesa tre alberi di tiglio a simboleggiare la Santissima Trinità. Un tempo, l’albero del tiglio, la lipa, era piantato nel centro di ogni paese, dove si riunivano i capi-famiglia per prendere decisioni importanti relativi alla comunità.
Ogni domenica alle 10.30 in frazione Villanova delle Grotte e alle 11.30 a Lusevera è possibile ascoltare una lettura nell’antichissima parlata del Torre. Inoltre, nell’ultima domenica di quaresima in chiesa si tiene la lettura della passione di Cristo nel dialetto sloveno del Torre da parte di un gruppo di fedeli.
Dal 1967 il Centro Ricerche Culturali è un punto riferimento sulla complessa identità di Lusevera e della sua valle. Si è proposto di preservare e promuovere l’uso della parlata e la cultura della comunità slovena delle valli del Torre. Ed ecco che nel 1973 gli studiosi del centro hanno istituito Il Museo Etnografico che conserva un interessante patrimonio di testimonianze della cultura materiale.
Ha sede nella latteria paesana ed espone oggetti propri dell’ambito domestico e lavorativo, come per l’allevamento, l’artigianato, la produzione casearia, ma anche reperti connessi alla religione.
Nel museo si svolgono le lezioni di musica della Glasbena Matica, la nota scuola di musica della minoranza linguistica slovena del Friuli Venezia Giulia. Inoltre, il coro di voci maschili chiamato Barski oktet vi si riunisce per le prove dei canti legati alla tradizione slovena e friulana.
In frazione Villanova delle Grotte si trova il complesso carsico delle grotte di Villanova, quattro cavità che si sviluppano complessivamente per oltre 20 km. Il GELGV (Gruppo Esploratori e Lavoratori Grotte di Villanova) si occupa da sempre della salvaguardia di questo patrimonio e di renderlo accessibile ai visitatori.
Inserita sull’altipiano del Monte Bernadia la Grotta Nuova è la più estesa d’Italia e fu scoperta nel 1925 da Pietro Negro di Villanova. È stata chiamata «Grotta Nuova di Villanova» per distinguerla dalla Grotta Doviza, conosciuta con il nome di «Grotta di Villanova». A differenza delle altre grotte carsiche ha avuto origine da due tipi di roccia (un banco di breccia calcarea e il sottostante banco marnoso-arenaceo) sottoposti a differenti modelli di carsismo, per cui si snoda in ambienti diversi a seconda del tipo di roccia presente. Quindi, ogni ramo è differente dall’altro e dopo poche decine di metri può variare per forma, dimensioni e fenomeni di concrezionamento. Ciò la rende un tipo di grotta molto rara la più estesa cavità «di contatto» visitabile in Europa e nel suo genere, con oltre 9 km., è una delle più estese al mondo; raggiunge i 281 m. di profondità.
Le sue gallerie sono solcate da un torrente sotterraneo, che a tratti scorre lento e dove forma cascate è impetuoso. Si incontrano imponenti saloni concrezionati e tortuosi canyon, arricchiti da stalattiti, stalagmiti, colate calcitiche che sembrano cascate e da numerose stalattiti eccentriche. Di grande impatto visivo sono l’Angolo dei Cristalli e la Sala del Gran Portone, dotata di un grandioso arco naturale. È un mondo incantato dove l’aria è purissima e salutare per gli asmatici, per chi ha allergie e altre patologie respiratorie. Gli ambienti mantengono una temperatura interna di 11° costanti.
Le altre grotte sono: Grotta Dovizia, sul fianco occidentale della Valle Tapotcletia, è una delle più lunghe grotte del Friuli; Abisso di Vigant, una magnifica grotta a estensione verticale, Grotta E. Feruglio dagli splendidi saloni.
Le grotte di Villanova sono diventate il fulcro del turismo nell’Alta Val Torre e del territorio circostante.
Lungo il sentiero che congiunge il borgo Simaz di Musi a Pian dei Ciclamini, vicino alle abitazioni di Trepetnika, si trova una fonte che si ritiene magica, perché sarebbe in grado di guarire le pene d’amore. La credenza nasce dalla leggenda del grande amore durato una primavera e un’estate tra un pastorello di Tanataviele e Srebrica («Fanciulla d’argento»), in realtà una creatura d’acqua. All’arrivo dell’autunno lei si stancò di lui e se ne andò. Il pastorello si lasciò morire di dolore, sotto lo sguardo costernato degli abitanti di Musi. Srebica se ne pentì e lo trasformò in una sorgente che scaturì sopra i prati dove si erano amati. Ancora oggi l’acqua vi scorre abbondante e si dice che chi si bagnerà nelle sue acque gelide dimenticherà all’istante l’amato crudele.
Sarebbero ancora tante le cose da raccontare e i luoghi da visitare, ma occorre rimettersi in viaggio. Ci sono ancora 50 km. prima dell’arrivo a San Daniele del Friuli.
Adriana Maria Soldini
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